E storie semplici. Come questa di uno dei suoi tanti, prediletti adolescenti che si nasconde in cantina mentre la madre lo ritiene in gita scolastica; raggiunto dalla sorellastra, che lui conosce a malapena e che non riesce a liberarsi, fra tante altre cose, della dipendenza dalla droga. Il Bertolucci di prima avrebbe calcato la mano sui rischi incestuosi e i relativi orpelli espressivi proposti dalla situazione; quello di oggi, fragilizzato dalla malattia e trepidante nell'età, la trascrive con una aderenza generosa e sempre freschissima. Delicata, di una tenerezza che nasce dalla forza di una creatività lontana da ogni espediente dovuto all'handicap sofferto dal cineasta.

Certo, merito dei due splendidi esordienti che una volta ancora Bertolucci ha saputo scoprire, Jacopo Olmo Antinori dalla straordinaria intensità, e Tea Falco giustamente mutevole. Ma tutto finisce per scaturire grazie alla vitalità magistrale dell'artista costretto all'immobilità: cui riesce di liberare in trascendente libertà poetica (quell'emozione del ballo fra i due giovani avvolti nella versione italiana Ragazzo solo, ragazza sola del celebre Space Oddity di David Bowie), in slancio costantemente creativo l'intensa emozione del suo sentire.